Le contraddizioni di un Paese meta ideale del turismo eco-sostenibile che, proprio a causa del turismo, rischia il collasso.
Anche in un’estate di ecoansie versus negazionismo ambientale, chi per qualsiasi motivo odia il caldo se ne va in Nord Europa e più in su va meglio sta o pensa di starci. Ecco allora l’Islanda, il nord più nord che presta il fianco ai tour operator più green e wild. Viaggi organizzati e avventure nel mondo, in solitaria o di gruppo, con la speranza catartica di aver annullato la paura del futuro ambientale (la serie islandese Katla ci ha fatto tremare anche queste piccole certezze ecologiche). Eppure, chi va non sa cosa trova e pensa di sapere cosa lascia, per parafrasare l’accidia alla Troisi, e, comunque, può finire per incontrare il suo vicino di casa in mezzo ai ghiacci come all’Esselunga. Statistiche poi ammorbidite dal lockdown ci dicono che a furia di cercare altrove la sostenibilità che non abbiamo stiamo contribuendo ad oscurarla lì dove prima sapevamo di trovarla.
102 mila chilometri quadrati per 330 mila abitanti e dopo anni stabili di circa 200 mila visitatori l’anno, l’Islanda da anni fa registrare incrementi di circa 500 mila visitatori in più l’anno. Una statistica Oms classifica l’Islanda tra i Paesi in cui i turisti superano gli autoctoni nel rapporto turisti per residenti all’anno. Di questo passo l’estate islandese sarà da odiare almeno quanto quella della canzone di Bruno Martino. Un rapporto sulla qualità dell’aria della European Environment Agency del 2020 dava l’Islanda come uno degli Stati europei più salubri con solo una sessantina di morti premature all’anno. Ma sarà sempre così?
Preoccupato è Roberto Luigi Pagani, curatore del blog poi libro “Un italiano in Islanda” (Sperling&Kupfer) e profondo conoscitore dell’isola. «Il rischio», spiega Pagani, «è che l’Islanda non sarà più quella dell’esperienza della natura estrema e silenziosa che l’ha fatta diventare tale finendola per farla assomigliare a un luogo del pigia pigia simile a un mercato di una città mediterranea col rischio di smarrire i motivi per cui è diventata la meta così cercata. La vacanza basata sulle mete viste in fotografia non è la soluzione». … continua a leggere
Questi articoli hanno sempre il rischio di far passare da snob con la puzza sotto il naso, e quasi sempre mancano il bersaglio.
Ok, no al turismo di massa che ti rovina il paesaggio e inquina, ma qual e’ l’alternativa? Come si definisce un turismo sostenibile in Islanda, visto che sono due gatti in croce? Metti il numero chiuso (e rovini l’economia)? Proibisci l’accesso a certe locazioni?
Sembra sempre lo stesso brodo senza un’argomentazione significativa.
l’articolo illustra il quadro attuale e fa riflettere sulla necessità di andare in determinati luoghi solo “per Instagram”, perchè si sono viste foto di altri e perché si vogliono condividere le proprie. L’alta concentrazione di persone in determinati luoghi remoti e naturali di per sè è un fenomeno recente, che sta aggravando il problema ambientale.
Dal mio punto di vista semplicemente non c’è un’alternativa…le nostre scelte relative allo stile di vita hanno un impatto importante sul clima e sull’ambiente (ora più che mai visto il fenomeno di Instagram e di molti “follower” che fanno perché hanno visto altri farlo) e molte persone potrebbero scegliere mete alternative più vicine e raggiungibili con mezzi meno inquinanti dell’aereo. Dopo ognuno fa ciò che vuole ma la consapevolezza del problema dovrebbe portare le persone a pensarci 2 volte prima di voler andare in Islanda o in generale “proprio in quel luogo” perché ci stanno andando in molti.